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Lui & Lei

i giorni dopo2


di amichetta
30.06.2016    |    763    |    1 9.0
"Ero tranquilla, la mia prima scopata si era svolta secondo le più rigorose precauzioni: ma si sa che la strada che porta all’inferno e lastricata di buoni..."
i giorni dopo2 ) Il mio difensore concluse la seduta con un’arringa degna di Cicerone e alla fine il perito acconsenti alla cifra di ben otto milioni di lire, che poi si concluse l’accordo per ottomilioni e cinquecento mila lire. Una cifra colossale: per me una piccola ma grande inattesa fortuna. Finito il colloquio, dopo i soliti convenevoli uscimmo senza l’assegno poiché decidemmo di farlo intestare a mia madre in quanto io ero minorenne, la quale poi sarebbe ripassata per la firma della quietanza e il ritiro dello stesso. In parte fu una delusione, ma come spesso sentivo dire: chi si accontenta gode.
Appena fuori mio fratello mi chiese ++ Ti eri eccitata vero?++ - -Moderatamente, - - ++ Ti piace essere guardata, vero?++ L’improvviso cambio di tono mi spaventò -- Guardata? - - ribattei ++ Ti è piaciuto fare la sgualdrina, che quei due tipi se la godessero a guardarti.. ++ -- Non avevo scelta --
++ Smettila di trovare delle scuse, ti è piaciuto e basta! Vero? ++ -- Be’ si -- risposi, -- Tu cosa ne pensi?-- ++Che hai un futuro come vaccina da latte. ++ Avevo ancora le guance accaldate e ero visibilmente emozionata, non ebbi il fegato di ribadire. -- Io intendevo dei soldi-- ++ Dei soldi? Troppi, cosa ne farai?++ -- Non so, sono sbalordita quanto te, vedremo, meglio averli che essere in bolletta, o no!-- Mi vennero alla mente i cento ottanta mila non ancora toccati e che tenevo ben nascosti. Mi sentii improvvisamente ricca. A piedi, secondo il programma, arrivammo dalla mia amica Dxxx, la quale mi accolse esultante. Lo scopo della visita fu inerente alla festa della quale non avevo più saputo nulla. Mi informò che era stata decisa per un venerdì della settimana entrante,
mancavano ancora dieci giorni e gli ultimi accordi avremmo avuto modo di comunicarceli. Essendo in compagnia non sfiorammo nessun “ altro argomento. “ Verso le ore dodici mia madre passò per prelevarci e, recatosi all’ufficio ritirò l’assegno. Ritengo inutile descriverne la sua meraviglia né il seguito. I giorni seguenti si susseguirono tra ansia e impazienza per i due eventi che trepidante attendevo. La mia seconda artefatta deflorazione e la festa di compleanno di Sxxxx della quale ignoravo il programma, ma conoscendo
l’organizzatrice ero certa che avrebbe potuto essere stupefacente.
I giorni che seguirono furono riproduzioni dei precedenti, ma dovendo riconoscenza “a lui” per il suo impegno che mi permise di guadagnare quel sostanzioso gruzzolo, allentai le redini del rigore e lui divenne eroticamente sempre più audace.
Arrivarono finalmente i fatidici giorni del ciclo tanto attesi e che io accolsi con sollievo. Ero tranquilla, la mia prima scopata si era svolta secondo le più rigorose precauzioni: ma si sa che la strada che porta all’inferno e lastricata di buoni propositi. Durante i primi due giorni del ciclo ci concedemmo una tregua, il terzo e l’ultimo attuai il primo punto del piano che avevo furbescamente ancora in fieri. In testa avevo già la sintesi di come si sarebbe attuata la storiaccia.
Sottrassi una siringa sterile, di quelle che usava mio padre per le iniezioni agli animali che usai come raccoglitore degli ultimi rimasugli del flusso mestruale. Nell’insieme ne riempii una siringa di circa dieci centimetri cubici. La misi al fresco e attesi il giorno successivo: quello fatidico, che tra l’altro sarebbe stato anche il venerdì della festa.
Io mi ero ripresa dalle escoriazione e se non fosse stato per le croste non ancora totalmente scomparse avrei potuto considerarmi guarita. Ero in cucina e appena mia madre lasciò la casa per i campi lui arrivò, visibilmente agitato, già in armi pronto al combattimento. Con lui era come se avessi stipulato un contratto e ora che tutti gli articoli erano concordati non mi restava che l’ultimo passo, che consisteva nell’arrendermi incondizionatamente alla sua volontà. Sollevai solo alcune obiezioni che ritenevo inadatti divani, letti o qualsiasi luogo dove avrei potuto lasciare il solito attestato della deflorazione che come sempre poco o tanto l’accompagna. Suggerei il bagno che per quanto squallido era il luogo più sicuro.
Lui era talmente impaziente e non disponibile a altre dilazioni che sembrava non importare più di tanto da interessarsene.
Erano le nove del mattino e tutto sembrava pronto, gli chiesi alcuni minuti per prepararmi, poi avrebbe potuto raggiungermi in bagno. Nel frattempo lo pregai di riprendersi i profilattici perché era arrivato il momento di sfoggiarli. Con mille precauzioni io recuperai la siringa riempita del mio “sangue” e mi ritirai in bagno, poi la scaldai con acqua calda, la insalivai e toltami le mutandine me la infilai nel viale principale. Era di una lunghezza di circa 12 centimetri e due di diametro per cui si infilò senza difficoltà e una volta dentro tutta pigiai lo stantuffo. Mi meravigliai di quanta difficoltà nel far uscire la fanghiglia che si era consolidata, ma poi d’un sol guizzo si svuotò. Sfilato l’affare, mi pulii accuratamente oltre che all’esterno anche all’interno per quanto mi fu possibile, più fossi stata asciutta più avrebbe fatto attrito e incontrato difficoltà ad entrare e era proprio ciò che io cercavo. Fui colta dal dubbio che restando in verticale il magma che mi ero inoculata potesse colarmi lungo le cosce e rovinare tutto, a questo non avevo pensato: il diavolo insegna a fare le pentole ma non i coperchi, un altro proverbio di mia nonna. Avevo addosso una sola canottiera e ero nuda dai fianchi in giù, potevo essere pronta all’uso. Socchiusi la porta come segnale che ero pronta a riceverlo. La porta si aprì e “lui” comparve già in assetto di guerra, corazzato e con tanto di elmetto. Per prima cosa notai il suo primo errore causato dalla sua inesperienza, la punta era piena di aria, da spavaldo non aveva letto le istruzioni sul l’uso.
Non potei farglielo notare, la mia osservazione avrebbe rivelato una mia erudizione che dovevo mantenere ermetica. Il profilattico che indossava era molto diverso da quello che avevo provato.
Era liscio, senza zigrinature o simili. Pensai l’avesse pescato tra quelli a minor prezzo. Per non restare troppo tempo diritta , mi ero piegata e fingevo di chiudere i rubinetti del bidet. Appena lo vidi sgranai gli occhi come se fosse la prima volta che vedevo un uomo nudo, eravamo entrambi in uno stato di comprensibile agitazione. Come paralizzata dalla paura rimasi immobile, se non ero in preda ai timori di una vergine autentica, apparivo almeno molto spaventata dalla nuova parte che mi toccava recitare: perciò avevo assunto un atteggiamento confuso e imbarazzato molto simile al pudore verginale che avevo avuto nella mia vera prima volta. Capire le differenza sarebbe stato obbiettivamente difficile, anche agli occhi più esperti di quelli mio profano presunto sverginatore. A detta di un vecchio aforisma “non dire gatto finché non ce l’hai nel sacco” il suo timore che potessi retrocedere e cambiare idea lo rese precipitoso poiché la
tremarella che avevo addosso a lui non sfuggì. Mi chiese ++ Che c’è! Che hai! ++ -- Ho tanta paura -- risposi con la voce tremante. In certi momenti una falsa virtù appare più ritrosa di una vera ++E di cosa! Ti pare troppo grosso? Lo so che lo vuoi anche tu++ A prima vista pareva terribilmente calmo ma sotto quella remota impassibilità ardeva qualcosa di enorme e terrificante, c’era un palese godimento erotico sul suo viso. Quando lui si posizionò dietro di me divenni - e questa volta non per finta, - irrequieta come una manza infastidita da un mugolo di mosche. Quando mi afferrò per i fianchi gli chiesi se dovevo restare in quella posizione. ++ Lascia stare la posa, non serve fare la difficile++ Del resto, ero in una posizione in cui ero completamente esposta ai suoi attacchi e anche alle sue ispezioni, semmai avesse voluto effettuarle, ma come esaminatore fu alquanto superficiale e, arrapato, senza preliminari passò subito all’assalto. Come prevedevo il primo colpo andò fuori bersaglio. Aveva una lunga fessura in cui mirare e lui dimostrò di non conoscere il punto esatto del bersaglio. (CONTINUA 7).
Appena sentii la punta dello strumento toccarmi la fenditura feci l’indomita, -- Ho paura! Non sono abituata! Voglio andar via! Mi farai male! -- Recitai tutte quelle preoccupazioni normali di una ragazzina ingenua che si trova per la prima volta con un uomo che sta abusando della sua innocenza. Lui era tutto agitato, voglioso come un ragazzino che si accingeva a guidare per prima volta un auto tutta sua. Era impaziente di concludere, sapeva che se si fosse aperto un varco poi mi avrebbe assunta come manichino caldo in carne e ossa asservita ai suoi insaziabili appetiti sessuali. Ci riprovò una
seconda volta e ci andò molto a ridosso ma ancora non centrò il canale giusto. Ancora più spaventata divenni bizzosa e scalciai come una puledra morsicata da un calabrone, il tutto condito con lamenti e altre espressioni di ripulsa adatti al personaggio che stavo emulando: innocente e spaventata.
In fibrillazione per l’eccitazione mi implorò di stare ferma, di avere un minimo di pazienza e di sopportazione. A quel punto, capendo che era inutile sbattere la testa contro il muro se il buco non c’era, me la tastò con le dita per esplorare la zona e avere un riferimento preciso. Il paragone che feci con la mia prima volta dove venni infilzata al primo colpo, era certamente suggestivo, ma di certo non immaginavo quanto gli sarebbe stato complicato centrare l’obbiettivo. Ci riprovò un’altra volta andando a segno e lo scrigno si aprì. Attenta e vigile su quello che faceva lo lasciai entrare con la testa. Appena fu all’interno dell’orifizio con grande tempismo ebbi un sussulto improvviso e diedi una sterzata di chiappe, non per impedirgli di entrare ma per il dolore che finsi di provare. Tuttavia non riuscii a disarcionarlo perché una parte del suo pistolotto era entrato e lui continuava a spingere oltre ogni misura per penetrarmi, ma essendo messa di traverso non fece molti progressi.
Una circostanza che non mancai di condire con sospiri, urla e lamenti. --Ahia! Mi fai male! Toglilo subito! Non resisto! Brucia--- Ahiuu morirò. -- Lui cambiò posizione per allinearsi al tiro, ma io lo precedetti tentando di spostarmi dalla parte opposta di dove ero, ma dovendo passare per il centro mi misi, seppur per un attimo, in una posizione a lui vantaggiosa e siccome il tunnel era pervio e dritto, il percorso obbligato, d’un sol colpo colta quasi di sorpresa me lo sentii tutto dentro. A quel punto conscia di non poterlo più buttare fuori soccombetti con un urlo tremendo, come se il dolore mi avesse fatto dimenticare la paura di essere sentita da qualcuno. Nel suo ultimo sforzo, nella sua furia non aveva saputo contenere la sua eccitazione, così dentro di me sentivo la sua carne pulsare e il segno che mi dette fu inequivocabile: stava venendo. Seguirono due profondi spintoni che mi spinsero contro il muro e mi fecero inarcare la schiena, _ “proprio come avevo visto un tempo, ancora bambina, una manza mentre veniva montata da un toro infuriato: ma la sventurata era impastoiata mentre io ne ero favoreggiatrice _ Poi alcuni movimenti al rallentatore conclusero le sue atletiche esibizioni. Nonostante il suo attrezzo non fosse di quelli che non mi avrebbero lasciato il segno, mi sentivo bella piena, riempita come natura comanda. Le modalità dell’azione erano state diverse al confronto con la mia prima esperienza, ma l’esito per lui fu lo stesso, per me invece fu un’esperienza priva di mordente e non provai alcun piacere. Il suo tocco non aveva stimolata la mia immaginazione, il mio sangue non si era scaldato, la mia fantasia non aveva preso il volo. Ammansita, convinta che fosse finita lo implorai di toglierlo perché il dolore era insopportabile. Ebbi alcune riflessioni in quel breve momento: a come e se stava inzuppando il biscotto nello zabaione che mi ero siringata e all’effetto che avrebbe avuto su di lui fra qualche secondo quando, tirato fuori, se lo sarebbe visto insanguinato. Inoltre, commentai con me stessa se lui avesse provato lo stesso piacere se fossi stata realmente vergine e semmai ero riuscita realmente ad ingannarlo. Per saperlo dovevo pazientemente attendere che si sdelinquisse e fosse uscito dalla mia tana: ma mi sbagliai. Diedi una sculettata come per indurlo a concludere ma lui dal timore di essere respinto mi prese da sotto i fianchi cercando di raccogliere tutte le sue forze con le mani mi ispezionò esaminando ogni parte del mio corpo.
L’esame lo soddisfece perché lo sentii subito riacquistare vigore e mi chiesi se avesse trovato in un lasso di tempo tanto breve l’energia per un secondo successo. Mentre io mi disperavo gridando che mi ammazzava e che la sua esuberanza mi era insopportabile, lui prese l’abbrivio e ripercorse con furia la stessa strada. Capendo l’andazzo lo sottolineai con un lamento straziante, lui rispose alle mie querule con un, ++ è avvenuto troppo in fretta, abbisogni di un colpetto di grazia++ Quindi ci aveva creduto, ignaro del trabocchetto ci era cascato: dovevo approfittarne. -- Si! - Mi hai rovinata-- Ero ancora vergine -- Sei stato un bruto. -- Ma lui trionfante come un pollo che starnazza su di una gallina che sta sotto,
continuò trotterellando per la sua strada mentre io fingendo di essere immersa in una languida sofferenza mi dichiarai vinta e sottostai come una eroina costretta a subire e sopportare il sopruso che da sadico mi infliggeva. Sempre tenendomi ben stretta per paura di un rinvio, i suoi movimenti erano divenuti furiosi, e ebbi realmente paura. Io mi sentivo schiacciata nei suoi confronti dal peso della gratitudine che gli dovevo, mentre il mio tato, mosso dal desiderio bestiale intuiva la sua superiorità e il suo vantaggio virile tanto da sembrare diventato pazzo. Come un torello aizzato rompe tutto quello che incontra, così lui avrebbe rotto, dilaniato senza misericordia tutto quello che si sarebbe apposto al suo passaggio. Se l’abisso non fosse stato ben aperto avrei dovuto veramente versare lacrime amare. Io continuavo a gridare, ma nulla poteva contrastare la sua foga. Mi dibattevo, lottavo, lo supplicavo di essere garbato, tentai anche, in modo appariscente, di liberarmi di lui, ma sarebbe stato più facile arrestare con un soffio un bufera invernale che bloccare il suo assalto.
Ero in gioco e ero decisa a continuare la partita fino a quando non fosse arrivata in fondo anche se io non provavo alcun piacere. Era solo sesso consumato senza passione e quanta differenza avvertivo tra la collisione puramente meccanica e quella che fa nascere l’allegria di un piacere reciproco in cui i sensi annegano in un mare di voluttà. Per me era solo un computo, una prova indecente alla quale dovevo restare passiva, mentre per lui io ero una cavia che doveva sopportare più di quanto lui si potesse aspettare poiché i miei lamenti, le mie suppliche non facevano altro che renderlo più ardito e feroce: come se volesse vendicarsi senza sapere di cosa. I suoi lombi sussultavano sui miei glutei per la violenza del conflitto finché il suo piacere non raggiunse per la seconda volta l’apice e, ruggendo scatenò con un tremito convulso una doccia che placò l’uragano saziandosi del più squisito boccone della terra.
Provai la sensazione di una macchia calda che mi si espandeva nel grembo che presto si dissolse. Invece noi due, entrambi sembravamo non dare più segni di vita se non per le vibrazioni delle corde vocali fin troppo titillate. La natura era stata troppo profanata. Il pollone aveva superato se stesso dando prova di avere buona inventiva e un rapido apprendimento abbandonandosi per la prima volta al vizio e alla dissolutezza dell’incesto. Se fosse stato sprovvisto di contenitore per due volte avrebbe lordato ignominiosamente i miei interstizi del suo, -che io percepivo come repellente,- magma . Ma allora perché il diffondersi di quel caldo bagliore? Un brivido mi percorse dalla punta dei capelli alle dita dei piedi.(Continua8) Se il mio sentore avesse corrisposto a verità avrei avuto da risolvere un pasticcio che mia nonna avrebbe valutato: grande come una montagna. Senza esitare, in ebollizione mi girai liberandomi di quello che avevo ancora dentro,
senza difficoltà perché ormai aveva mollato gli ormeggi. Senza raddrizzarmi mi sedetti sul bidet trovandomi davanti agli occhi lo scenario che più temevo.
La pertica cadente ma ancora tumefatta, mi apparve ricoperta dalla base fino all’anello rientrante
mostrando la restante cappella sguarnita di protezione. Il profilattico si era rotto e parte di esso penzolava macchiato di rosso e miscelato a bianco di sperma come una bandiera ripiegata. Per alcuni attimi regnò lo sgomento. In quell’istante in cui ho visto ho capito di essere sull’orlo di un precipizio.
Avevo il baratro davanti agli occhi e lo vedevo allargarsi attimo dopo attimo provando il vero terrore. Dopo lo sbigottimento della scoperta ebbi realmente paura, una paura nelle quali si resta immobili e muti perché non si sa come intervenire. Numerose decorazioni di sangue in svariate forme denotavano che la simulazione fabbricata sembrava aver avuto successo, ma il finale fu imprevisto e tragico allo stesso tempo. Che potevo fare? Allora avevo solo tredici anni e non potevo chiedere aiuto a nessuno: ero sola e potevo solo aver paura e sperare. Mi toccai la fessa e gli mostrai le dita insanguinate.- -Guarda:-- E attaccai con l’accusarlo: - -Ero ancora vergine, mi hai sciupata. Sei stato cattivo, mi hai sforacchiata come una colombella a una gara di tiro. Mi hai fatto un maaleee e adesso corriamo anche il rischio di uno scandalo coi campanelli. te lo immagini se restassi in cinta?- - In verità quello era il vero e unico macigno che mi schiacciava. Ebbe una risposta lapidaria: ++Se è per quello puoi startene tranquilla, se non ci sono tutte le condizioni non attaccheresti neanche se andassi con dieci uomini in una volta, in quanto alla rottura dell’imene prima o poi sarebbe comunque accaduto, almeno adesso la potrai usare. ++ -- Se sei certo che sia così, e spero tanto che sia così, almeno riconosci che se non avessi dato credito al mio buon senso ora saremmo in un bel guaio. -- Mi tornò alla mente quanto avevo letto sui suoi libri di scuola e tornai a respirare e a ragionare. Mentre io continuavo a sciacquarmela lui se ne restava a guardarmi come un pelandrone inebetito che manifestava tutta la sua imperizia nell’uso che aveva avuto del profilattico. C’era qualcosa di pietoso e tragicomico nel suo contegno. Pareva più stupido di prima. Mi guardava in modo addolorato e languido, una stupidità che si sovrapponeva a una vacua espressione. Guardava me poi, tra stupore e amarezza, dirigeva lo sguardo sulla sua virilità pendente e pareva chiedersi cosa fosse successo, del perché quel profilattico si era frantumato. La vicenda era finita e in quel momento non era il caso di parlarne, gli dissi di lavarsi e far perdere ogni traccia del preservativo - Fuori Casa - che poi, ne avremmo discusso in seguito. Gli dissi di andarsene come era sua consuetudine fare ogni mattina, se qualcuno fosse tornato
inaspettatamente avrebbe dovuto esplicare la sua presenza. Io continuavo a sciacquarmi, ma per quanto lo facessi sembrava non riuscissi a liberarmi di quella fattispecie di intruglio che mi aborriva lassù fra i miei alveoli. Se era vero che la necessità è la madre di ogni scoperta, la stessa avrebbe dovuto suggerirmi una soluzione. Nel pomeriggio dovevo partecipare alla festa di Sxxxx e provavo osceno farlo portando ancora nel grembo lo sperma di mio fratello.
L’idea mi esplose dentro la testa come una bomba. Avrei dovuto fare quello che non avevo mai fatto trovando il coraggio di farlo. Entrai nel vano doccia, svitai lo spruzzo dal corrugato e andai per infilarmelo dentro alla fenditura che tenevo tra le gambe. Ma, la sua forma, i suoi risvolti ferrosi mi atterrivano:
potevano graffiarmi le mie parti morbide del sistema.
Mi munii di due guanti di lattice e uno sopra l’altro li infilai sul corrugato, li distesi tirandoli e feci un piccolissimo buco al loro apice, sulla punta di quello che avrebbe normalmente contenuto un dito, aprii l’acqua e la feci scorrere fino a raggiungere la temperatura del corpo, poi cautamente ma determinata, aprii le gambe e molto lentamente me lo spinsi dentro come se fosse un piccolo irrigatore. L’acqua tiepida incominciò a detergermi le pareti vaginali che poi scendendo si portava con se ingredienti composti di sangue rappreso misto a liquido biancastro e un altro disgustoso componente giallastro che
aderendo alle cosce li vedevo scendere scorrendo e finire sul piatto bianco candido. Continuai spingendo ancora più su, su, sempre più su, provando delizia e sollievo per quella estemporanea abluzione fino a quando non vidi l’acqua perfettamente linda. Chiusi l’acqua calda continuando per qualche minuto solo con la fredda: avevo letto che gli spermatozoi non sopportano gli sbalzi di temperatura. Se era vero e, se eventualmente ne fossero rimasti aggrappati alle mie morbide mucose avrebbero avuto la sua razione di benservito. Terminata la purificazione mi sentii detersa. Ora, era arrivato il momento per dedicarmi ai preparativi per la festa alla quale ero stata invitata in occasione del compleanno di Sxxxx. Non ero ancora perfettamente guarita dalle croste così preferii indossare una sottana anziché i jeans. A casa di Dxxx arrivai per ultima, avendo con me una torta e una confezione
di spumante (in cuor mio festeggiai pure di quattro bottiglie il piccolo tesoro che mi era stato elargito)
non mi fu possibile andare con la bici, cosi fui costretta ad adattarmi agli impegni di mia madre la quale non aveva mai tempo per le mie bagatelle. Arrivai in ritardo ma fu questione di alcuni minuti e la cosa non fu
né grave né rilevante. La porta era aperta e alcuni ragazzi erano all’ingresso. Salutai e mi diressi alla taverna. Vidi Dxxx, che come sempre inesausta spacciatrice di stimolazioni, attorniata da una nidiata di gallinelle tutta presa a propinare una storia fasulla di quando era al mare; quando una sera tornando tardi in albergo si era infilata in cucina perché aveva fame e un cameriere approfittando dal fatto che era seminuda e sola con lui, l’immobilizzò, la costrinse a mettersi prona su di un tavolo e tentò di fotterla da dietro. Solo l’arrivo di un anziano cuoco la salvò dallo stupro: che naturalmente non denunciò per non provocare uno scandalo. Un racconto dal sapore di bufala,ma solo io lo sapevo, (o ne ero convinta) le altre pollastre,
elettrizzate ci erano cascate. Del mio ingresso sembrò che non se ne fossero nemmeno accorte, solo quando mi portai alle spalle della festeggiata e pronunciai “ Buon Compleanno” Sxxxx, la festeggiata, assieme e tutte le altre ragazze che staccando gli occhi dalla bocca irresistibile di Dxxx e si girarono verso di me. Dxxx mi disse [Ah! Sei arrivata!] Percepii nel suo tono un leggero astio che imputai al fatto di aver
distolto l’attenzione che le gonze iper eccitate, attirate dal suo piccante racconto, riservavano solo per lei. Tutti gli occhi si puntarono su di me. Sentii i loro sguardi furtivi intrecciarsi sopra la mia testa come una rete da strascico. Avevano tutte un’aria trasognata, alcune erano compagne di scuola eppure ebbi la
sensazione di essere una sconosciuta proveniente da un luogo lontano. Dxxx era una brava interlocutrice capace di cavarsela in ogni circostanza, ma a parer mio aveva un difetto: non sapeva tenere la bocca chiusa. Dal canto mio mi rallegrai di non averle ancora confidato il mio terribile segreto il quale portava il nome orripilante dell’incesto. Avrei dovuto stare in guardia e prevenire la mia naturale sventatezza nel lasciarmi suggestionare, poiché, di impeto, spesso fiducia e emozioni avevano su di me la prevalenza sulla razionalità.(continua 9)





Sxxxx era una bellissima ragazza, sottile, alta con gli occhi grandi e lunghi capelli biondi naturali. Bella e spontanea come le ragazze delle isole del Nord. Si muoveva in libertà ed era proprio quella libertà a renderla interessante. Mi colpivano i suoi gesti sicuri. Pensai che qualunque uomo non potesse che desiderarla. Abbondava di curve e aveva un culetto davvero sexy.
Pensai che i ragazzi le fossero girati attorno come mosche sullo zucchero. Invece, formavamo due gruppi divisi, eravamo in otto ragazze e novi ragazzi, al che mi chiesi come mai di questa disparità. I ragazzi formavano più gruppetti, chi al bar, chi ad ascoltare musica, chi a dialogare di sport. Mentre noi femmine eravamo accerchiate come in attesa di un piano, di un programma che ancora sembrava non era stato ancora deciso. In realtà il piano già esisteva nella testa della padrona di casa, dominatrice del
chi stava dentro e fuori, diabolica fomentatrice e istigatrice. Eravamo tutte attente e attorniate a lei che con la sua spregiudicatezza ci dominava tutte. Come pensavo la proposta le uscì dalla sue labbra. In breve fece una adunata e ne sintetizzò i cardini.
Potevano ballare, gozzovigliare, fumare o divertirsi come meglio ritenevamo opportuno. Entrando in sintonia era auspicabile si fossero create in un rapporto di reciproca simpatia quattro copie le quali due per volta si sarebbero ritirate in due luoghi della casa per una mezzoretta nella quale soli soletti avremmo
potuto deliziarsi come meglio credevano: senza superare il punto di non ritorno. Quale fosse questo punto c’era da decriptarlo.
In due ore si sarebbe svolta la successione e se proprio fosse restato il tempo e la voglia, chi lo desiderava avrebbe potuto replicare. Le copie potevano formarsi naturalmente o affidarsi alla sorte col gioco della carta più bassa. Dxxx sarebbe stata l’arbitro e la direttrice allo stesso tempo. Una volta accettato il gioco nessuno poteva più rifiutarsi.
Le ragazze esplosero in un fermento incontenibile. Per i ragazzi era dato per scontato che accettassero con entusiasmo questa allettante prospettiva. Per noi ragazze, frizzanti come una pastiglia di aspirina in un bicchier d’acqua, o almeno così dimostravamo di essere, scatenate in delirio alcune acclamarono a gran voce la parola d’ordine: “ fare un pompino”, altre usarono il sinonimo “fare una sega . Tra di loro si consultarono, poiché io stetti al gioco senza mai dire la mia né lasciarmi coinvolgere. Una chiese: e se ci chiedono di prenderglielo in bocca? Intervenne Dxxx, [ No!, baci a volontà e al massimo una pugnetta, ma non dovete andare oltre, non la prima volta ]. Così era stato stabilito il famoso punto di non ritorno.
Vedere quelle pollastrelle, una più bella dell’altra, disinvolte, spavalde e apparentemente libere da ogni inibizione mi fece venire un mucchio di complessi. Tutte in un modo o nell’alto avremmo dovuto essere vergini, ma in quante lo eravamo veramente? Non era facile per me conoscere le loro abitudini sessuali, ognuna di noi era custode dei suoi segreti. E il sesso era il segreto dei segreti. Io sapevo di Dxxx, di quello che mi aveva raccontato, di quello che avevamo sperimentato insieme, di quello che avevo visto e vissuto insieme a lei; ma del prima e del dopo era un fitto mistero. Come di tutte le altre. Loro, raggianti di felicità sembravano di un altro pianeta. Dal canto mio, se quella festa fosse stata antecedente solo di due mesi,
alle prime armi com’ero di qualsivoglia esperienza, mi sarei trovata veramente in difficoltà senza sapere come cavarmela, e come e cosa avrei dovuto fare. La festa era cominciata, erano stato dato il via ai bagordi. Un gruppetto di ragazze si gettò nella mischia spingendosi una con l’altra, nessuno faceva
caso a me, che sola mi diressi al bar. Avevo sete. La musica era talmente alta che riempiva la stanza facendo sobbalzare i bicchieri di plastica appoggiati sul banco.
Alcuni ragazzi e ragazze in copia ballavano, un altro gruppetto bevevano appartati. Io mi guardai in giro, prima o poi avrei dovuto unirmi in copia con qualche pargolo presente e mi chiedevo quale poteva essere. In cuor mio non ero molto bendisposta ma preparata. Non mi sarei comportata diversamente dalle altre facendo la smorfiosa o la lavativa. Una sega a uno di quei polloni la avrei saputa fare e anche bene. Sapevo fin dal primo momento che con Dxxx si sarebbero scatenate faville e pur non avendo ancora subodorato i retroscena della faccenda ero sicura che qualcosa stava covando sotto la cenere. Di tutti i ragazzi uno attirò la mia attenzione. Dimostrava una certa maturità, era sempre rimasto solo,
non parlava né ballava. Fisso davanti allo stereo sembrava scrutare la scala dei led colorati tra il giallo il verde e il rosso che lampeggiavano al ritmo di Dancing Queen. Forse era il nono, uno in più, una stortura che non comprendevo. Mai visto prima non avevo idea chi fosse e cosa ci faceva a quella festa.
Mi avvicinai e lo guardai meglio, aveva in volto u na espressione indecifrabile. Sempre più incuriosita mi avvicinai a Dxxx, la trascinai in disparte e le chiesi informazioni su quel ragazzo tanto misterioso. Mi guardò sbigottita, mi disse che quello era parente di una invitata ma non considerato della brigata, un tardato mentale che gli specialisti consigliavano di farlo partecipare a eventi mondani con l’auspicio di migliorare
le sue scarse facoltà mentali. Poi mi chiese. [perché ti interessa? Si! ho capito che ti interessa.]
Euforica da non riuscire a imbrigliare il suo forsennato attivismo, prima che potessi aprir bocca si diresse verso lo stereo e abbassato il volume, si rivolse al branco e sentenziò a tambur battente: [ Alleluia! Ragazzi! Abbiamo la prima copia.] Ci fu un breve silenzio rotto da un ’’uaoo!’’
Acclamato a gran voce da alcune ragazze tutte gasate. Dxxx continuò, [Il meditabondo e Lxxxx], al che il gruppo si scompigliò dalle risate. Così lo chiamavano perché sembrava sempre assorto e
pensieroso, ma la realtà era ben più cruda e nessuno sapeva cosa aveva realmente in testa. Una ragazza si stacco dalle altre trascinando con sé un pargolo che sembrava ritroso a seguirla: *Noi siamo la seconda, disse a gran voce. * Mxxx era una ragazza da mozzare il fiato, mora, di una media altezza ma di
una straordinaria bellezza latina. [Bene! ] disse Dxxx, seguitemi. Così dicendo fece strada e la ragazza, Mxxx, prima si mise al collo una bottiglia che a me parve whisky e tracannò come se fosse acqua naturale, poi in copia la seguirono. Stando alle regole del gioco io avrei dovuto fare altrettanto. Per me fu una grande sorpresa, allibita, scettica, non seppi come sempre mi capitava nelle nuove situazioni cosa fare. Ai momenti di paura e di smarrimento seguivano spesso quelli della lucidità e della concentrazione. Avvezzata ad ascoltare i consigli di mio nonno il quale mi aveva insegnato che: se rifletti la farai in barba anche al demonio misi l’ipotesi al vaglio e decisi di affrontare l’arduo compito. Non tanto per onorare i patti, ma solo perché la mia curiosità si fece una voragine. Davanti a quell‘angoscioso bivio divenne una mera sfida personale. Avevo accettato il volere di Doxx con una resa umiliante e se fossi riuscita ad avere con lui anche una minima relazione sarebbe stata una rivincita, sarebbe stato un trofeo personale. La musica tornò a rombare e gli invitatati piombarono nell’indifferenza generale; forse non considerandola possibile non
avevano preso sul serio la faccenda. Mi avvicinai al tipo strano, lo guardai negli occhi e gli chiesi il suo nome. Mi rispose in un linguaggio per me incomprensibile fatto di inframmezzi e risatine isteriche e nervose. Studiai le mosse più urgenti che mi conveniva attuare.
(continua10) Ne elicitai che se volevo entrare in confidenza dovevo guadagnarmi la sua fiducia; la compressione delle parole non era indispensabile, certi linguaggi impostati dalla natura sono universali e non richiedono interpreti. Mi portai al banco del bar, mi procurai un piattino di carta e tagliai una fetta di torta, preso un bicchiere di coca cola tornai ad avvicinarmi a lui. Mi sedetti su di un divano e gli presi una mano tirandolo fino a farlo sedere accanto a me.
Mi misi ad assaggiare la torta e come se fosse un bambino gli dissi --buona -- lui mi guardò come fanno i deficienti, ovvero senza espressione alcuna. Provai a infilargli in bocca una cucchiaiata di torta che inaspettatamente la masticò e la ingoiò. Quindi anche lui mangiava. Bene pensai. Proseguii con un cucchiaino a me e uno a lui, poi passai alla coca,
che bevemmo dallo stesso bicchiere: tutto procedeva d’incanto. La prima intesa era avvenuta.
Finite le vivande passai al passo successivo. Mi avvicinai appoggiandomi al suo corpo, gli presi una mano e gliela aprii guardandogli il palmo e le linee come se volessi fare la chiromantica.
Parlare era impossibile oltre che inutile, la musica troppo alta per essere sentita e lui che dimostrava di non comprendere. Mi portai le sue dita alla bocca e gliele succhiai,
una per volta, senza avere alcun riflesso da parte sua. Allora con una audacia di cui stupii me stessa, unii la mia bocca alla sua, prima con solo le labbra poi vedendolo impassibile gli infilai la lingua dentro che a forza si fece strada fra le sue labbra contratte. -- ti piace -- gli chiesi. Non avendo risposta ci riprovai e questa volta gli appoggiai una mano sulla nuca e l’attirai a me in un vero bacio a senso unico. Concluso lo sbaciucchiamento, mi trovai gli occhi puntati addosso di Dxxx che - tornata dalla sua missione - la vidi annichilita come una che si guarda allo specchio e non si riconosce.
Si avvicinò al mio orecchio e mi gridò, [quando sarai pronta ti ho lasciato la mia camera libera, auguri!] non compresi a fondo se nel suo tono ci fosse astio, complicità, o se fosse solo curiosa di vedere come sarebbe finita. E poiché la mia curiosità era superiore alla sua mi diedi da fare senza pensarci due volte. Il giovanotto sembrava essersi ammansito, accettava tutto quello che gli facevo senza fare resistenza e senza alcuna malizia. Se non fosse stato perché era scemo e balbettava talmente da non essere compreso sarebbe stato un giovane dal fisico perfetto, forte come un cavallo. Aveva qualche anno più di noi tutte, alto e avvenente sarebbe stato un delizioso bocconcino. Mi misi a giocherellare coi suoi capelli ricciuti, gli accarezzai le guance dimostrando le mie amorevoli intenzioni con una quantità di piccole moine tanto da addomesticarlo incoraggiandolo con sguardi profondi. Se ne stava docile passivo e sorridente con la bocca semiaperta e ormai accettava tutto quello che gli facevo. Il mio ghiribizzo si era fatto incontenibile. Mi alzai e lo presi per mano e anche lui mi imitò.
--Vieni con me che ti farò conoscere il paradiso-- dato il fracasso esistente non credo che mi avesse sentita, ma che importava? Tanto non avrebbe capito. Ormai sciolto come un blocco di ghiaccio, lo tirai a rimorchio verso l’uscita. arrivati alla porta diedi un’occhiata alla bolgia di scalmanati al centro della sala. Vidi che un paio di ragazzi che armeggiavano con una video camera e si apprestavano a farne uso, mentre le ragazze in cerchio danzavano sguaiate. Mentre mi incamminavo su per le scale pensai che uno di quei giovincelli sarebbe stato più interessante: se non avessero avuto quel terribile difetto del quale noi ragazze dovevamo diffidare. Avevamo tanto da perdere se avessero spifferato pericolose indiscrezioni: peraltro molto facili a quell’età. Arrivati al corridoio passai per il bagno munendomi di un rotolo di carta igienica;
per precauzione, meglio prevenire e essere preparati. Non appena fummo nella stanza di Dxxx, chiusi la porta alle mie spalle, chiudendola e posizionando la chiave in verticale in modo da oscurare l’asola per assicurarmi di non essere spiata.
Di quell’espediente ne avevo avuto una certa esperienza. La stanza la conoscevo e appena entrata i ricordi mi assalirono.
L’unica novità fu una foto di Dxxx formato poster apparsa a una parete scattata sulla piaggia quando era al mare . Bellissima, con la pancia sulla sabbia e il culetto all’insù minutamente coperto da un succinto perizoma. Era graziosamente appoggiata con il gomito sinistro e il volto girato verso l’obiettivo.
Rievocare il giorno in cui sul letto di quella stanza, un guerriero indomito mi aveva scandagliato i fondali dell’amore deturpando la mia verginità e ridurmi donna, mi scatenò un tornado di emozioni. Ero traboccante di gratitudine verso colui che mi aveva fatto provare quel fulgido piacere da farmi quasi impazzire.
Bastava chiudessi gli occhi perché mi si disegnasse davanti un’immagine di tatto e di gusto. In quei giorni di calvario mi ero nutrita di quei ricordi: avrei rivissuto quei momenti? Forse lo stavo facendo e ancora non lo sapevo. Era vero che anche uno scemo poteva soddisfare una donna? C’era un detto popolare “bastone di matto, divertimento di femmina” mi posi la domanda e di quella mi accontentai. Le risposte arrivano da sole, come le foglie d’autunno cadono dagli alberi.
Poiché non era il caso di farsi dei riguardi con l’idiota, presi l’iniziativa e andai subito all’attacco.
Mi tolsi la sottana, gli abbassai la cerniera dei pantaloni e gli infilai dentro una mano. Mi comportai in modo molto libertino e lui reagì al mio approccio in modo confuso e sorpreso. Si ritirò, ma dietro di lui trovò il letto e gli si fermo contro.
Rise in modo innocente e sciocco, gli occhi emisero una luce particolare e sulle guance un leggero rossore si confuse con una apparenza di vergogna. Paralizzato dalla novità della situazione, se ne stava docile e passivo in una estasi e sembrava accettare tutto quello che gli facevo. Le mie dita si infiltrarono fino a scoprire il tronco sensitivo, molliccio, quasi inesistente. A quel punto gli slacciai la cintura e gli abbassai tutto: e vidi il poverino tutto ritirato, per così dire nel suo eremitaggio che mostrava appena la punta della testa come un pettirosso fa capolino tra le spine del biancospino nel gelido freddo inverale. Il ritorno in quella stanza mi aveva resa un tizzone ardente, tutto quello che vedevo contribuiva ad avvamparmi,
mi ero ormai tutta infradiciata e mi trovavo sola con un idiota al quale nemmeno veniva duro. Mentre io continuavo a spalpugnare senza avere successo, gli presi una mano e gliela portai tra le mie cosce. Non accadde nulla di rilevante.Determinata mi abbassai le mutande e appoggiai le sue dita prima sul boschetto del pudore, poi le abbassai costringendolo a esplorarmi il dolce segreto della natura.
Lui sembrava essere incapace di ogni furbizia, dovevo solo sperare nella forza dell’istinto. A me altro non faceva che, per così dire: gettare più fiamme che acqua. Sperai nella natura che scarna in doti linguistiche e intellettuali lo avesse ricompensato con qualche dono straordinario. La mia appercezione ebbe un riscontro.
L’attrezzo in discussione invece di ritirarsi si stava gonfiando, il tatto mi informò piacevolmente che stava preparandosi a soddisfare quanto avevo in mente. In breve tempo rispose ai miei stimoli in modo sorprendente. Se ne stava lì, eretto in tutto il suo splendore. Gli scoprii la testa, confesso che non sarebbe stato possibile ammirare nulla di più tronfio.
Mi aspettavo qualcosa di straordinario ma quello che avevo di fronte superava le mie aspettative e stupiva anche me che proprio non ero una novizia (continua11)























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